L’Haru basho è ormai agli archivi, e mentre aspettiamo impazienti il prossimo Natsu di Maggio sembra che le notizie principali sul grande sumo che ci giungono dal paese del sol levante siano, nuovamente, più legate a scandali e gossip che al doyho.
Chi inizia a seguire il grande sumo sa bene che le dinamiche che si sviluppano fuori dal doyho sono state, sono e con buona pace saranno sempre parte integrante di questo sport/tradizione/stile di vita. I problemi di disciplina all’interno delle heya non sono certo cosa nuova, come non sono novità i provvedimenti disciplinari da parte della NSK e come non sono una sorpresa le intemperanze di lottatori più “vivaci”.
Se, seguendo i tornei e guardando i vari incontri si impara a riconoscere le tecniche di base, le kimarite, le abilità tecniche dei veri lottatori, è spesso, invece, più difficile star dietro a quella parte del sumo che solitamente vive lontano dai riflettori ed alla quale di tanto in tanto ci si avvicina per la curiosità destata da un particolare lottatore (sia in attività sia nel caso diventi oyakata al suo ritiro) o per eclatanti casi di “scandali” che assurgono all’attenzione dei media.
Cerchiamo allora di chiarire un po’ il quadro del “dietro le quinte” del mondo del grande sumo di modo che sia più semplice capire il perché ed il come di determinati accadimenti e avere degli strumenti critici maggiori per poter trarre delle proprie conclusioni senza essere eccessivamente confusi o instradati su un’opinione proveniente da canali esterni.
La prima cosa che si impara dopo aver iniziato a seguire qualche incontro e i primi tornei è che nel sumo esistono tante diverse figure oltre a quelle dei lottatori, personaggi spesso di aspetto particolare come i gyoji o un po’ più misteriosi come gli sfuggenti e sempre in movimento yobidashi, oppure gli autorevoli shinpan a bordo doyho. Dopo qualche rapida ricerca poi si può scoprire che molti di questi personaggi condividono gli stessi spazi dei lottatori anche nella vita di tutti i giorni e che le attività di tutti si svolgono in strutture dette heya. Cos’è una heya? Chi ci vive e lavora e a cosa serve saperlo ad un appassionato di sumo? Cercheremo di seguito di rispondere a queste domande in modo esauriente ma per approfondire il discorso legato alle figure del mondo del sumo vi rimandiamo alle pagine specifiche consultabili sul blog.
Innanzitutto conoscere i vari personaggi del grande sumo ci aiuterà, da appassionati, a comprendere meglio le dinamiche dei vari rituali e delle varie fasi del torneo e anche a capire il perché si parli del grande sumo non come di uno sport (o almeno non semplicemente come uno sport qualsiasi) ma come di un mix di sport, storia, tradizione, rituali religiosi di origine shintoista, e di un vero e proprio stile di vita. Vedere poi quali dinamiche leghino fra di loro queste varie figure ci consente di capire e di poter elaborare una propria opinione, un proprio pensiero critico a riguardo che viene dalla conoscenza reale e non superficiale, consentendoci di poter filtrare le varie informazioni che di volta in volta saltano fuori.
Per diventare dei lottatori di sumo ma anche per poter essere qualificati a svolgere altri ruoli in questo mondo vi sono vie di formazione che iniziano a livello scolastico ed amatoriale. Quando poi si vuol fare il passo in avanti verso la carriera professionistica si entra nel mondo delle heya. La traduzione più utilizzata da noi occidentali riguardo questo termine è “palestra”, perché effettivamente si tratta del luogo dove i lottatori portano avanti i propri allenamenti, ma tale definizione è altamente riduttiva in quanto in una palestra ci si allena soltanto, ed in palestra ci si va ad allenarsi mentre in una heya si svolgono tutte le attività quotidiane dei lottatori e quindi non si va nella heya per allenarsi ma ci si vive direttamente. Le heya sono strutture adibite ad ospitare i lottatori che in queste dormono, mangiano e si allenano vivendo a stretto contatto e occupandosi in prima persona del mantenimento, dell’ordine e della pulizia di tutti gli spazi. Ogni anno le nuove reclute del sumo che intendono tentare la scalata ai rank professionistici vengono suddivise nelle varie heya ed entreranno a far parte di una vera e propria piccola comunità con i propri spazi e le proprie regole. Le heya sono guidate fondamentalmente da due figure principali: Oyakata e Okami-san.
Uno degli oyakata è il capo palestra (shisho) ed in questo caso si occupa della crescita atletica dei lottatori, allenandoli ed insegnando loro le tecniche e la filosofia di vita del sumo. Si tratta di ex lottatori che dopo il ritiro sono rimasti nel mondo del sumo decidendo di passare le proprie conoscenze alle nuove leve.
Il resto delle mansioni amministrative della heya è invece assolto dalla compagna del capo palestra, la okami-san che oltre occuparsi delle pubbliche relazioni è impegnata nell’insegnamento delle attività di mantenimento della heya (pulizie, preparazione dei pasti, ecc.) ai lottatori più giovani per i quali rappresenta spesso anche una figura guida alla quale chiedere consiglio e supporto.
Le altre figure che gravitano nel microcosmo della heya sono gli yobidashi, i gyoji, i wakaimonogashira, i sewanin e i tokoyama. Ogni heya ha le sue proprie figure a ricoprire tali ruoli. Per quanto concerne i lottatori, vivendo insieme, condividono spazi ma anche gli impegni delle attività giornaliere per lo svolgimento delle quali età e rank rappresentano gli elementi fondamentali nelle gerarchie del gruppo. Pulizie e preparazione dei pasti sono compiti relegati ai lottatori più giovani e di rank più basso, dove il posizionamento sul banzuke rappresenta tuttavia la vera e propria discriminante (anche se di rado un lottatore molto giovane di 19/20 anni può essere già in juryo o makuuchi e pertanto avere, nella heya, un rango superiore ad un lottatore più anziano al quale in qualsiasi caso non dovrà mancare di rispetto). Questo sistema gerarchico viene spesso accostato alla vita militare, dove le varie reclute condividono spazi ed attività e sono legati al rispetto dei gradi, anche se, a mio avviso, il parallelismo non è troppo calzante poiché in una caserma i commilitoni in fin dei conti pensano a sé stessi mentre in una heya l’attività di chi svolge le mansioni di mantenimento è legata alle necessità collettive. Un elemento di contatto maggiore fra questi due mondi può essere quello legato al fenomeno del “nonnismo”, dove elementi più anziani o di rango più elevato spaziano fra la goliardia e la mala condotta nei confronti di elementi più giovani, inesperti o di rango (grado militare o rank sul banzuke, non fraintendiamo il termine) più basso. Ovviamente fra i compiti degli oyakata è richiesta la gestione di tali situazioni, aiutando il gruppo dei lottatori a stare insieme in armonia e promuovendo il passaggio dell’esperienza dai più esperti a quelli che lo sono meno. E, se allenare e preparare fisicamente/ tecnicamente possono essere dei compiti per i quali un ex lottatore può essere molto preparato, la gestione della risorsa umana non sempre è un compito altrettanto facile da portare avanti. I problemi più gravi che si manifestano da questo punto di vista nelle heya sono i comportamenti violenti; da parte dell’oyakata verso il/i lottatore/i, da parte di un lottatore nei confronti di un altro o di altri lottatori o, in casi limite anche da parte di un lottatore nei confronti di altri elementi della heya (yobidashi, okami-san etc). Ovviamente tali dinamiche non sono esclusive del mondo del sumo, come detto, ma in tale contesto non sono assolutamente tollerate e vengono punite, spesso in maniera esemplare. A breve vedremo anche da chi e in che modo ma prima vorrei concludere con una riflessione. Una heya dove “regna” la violenza ossia dove fenomeni di comportamenti violenti sono frequenti non avrebbe vita lunga. Come detto dietro un lottatore c’è una realtà complessa e strutturata, fatta di altri lottatori, aiutanti, gyoji, gente che gestisce la crescita atletica e morale e gente che gestisce gli ambiti relazionali con l’esterno. Tutto ciò necessità di coesione, lavoro di squadra e impegno di gruppo, che non potrebbe svilupparsi su un lungo periodo se la base fosse quella di un ambiente fortemente impattante in modo negativo. Ciò ovviamente non vuol dire che una heya di successo, che ospita e sforna lottatori di livello, sia una realtà dove son tutte rose e fiori. Come in qualsiasi situazione aggregativa ovviamente ci saranno attriti e confronti, simpatie e tolleranze, e non neghiamolo anche scontri. È altrettanto ovvio, però, che il segreto del successo di una heya, di un oyakata o di un lottatore siano legati alla capacità di avere attorno a sé un gruppo positivo ed una situazione quanto più serena e propositiva. Uno degli aspetti che crea un aurea di sport violento sul sumo è l’intensità degli allenamenti classici, dove i corpi dei lottatori vengono spinti al limite e dove spesso un oyakata deve intervenire in modo molto deciso per portare gli atleti a superare i propri limiti e a costruire quella base di resistenza atletica e mentale indispensabile per affrontare tornei lunghi con combattimenti giornalieri contro altre “macchine” allenate sulla stessa base di stoica dedizione alla fatica ed allo scontro fisico. Guardando un video di un allenamento intenso fra lottatori di alto livello molti possono storcere il naso sulla durezza e sulla risolutezza di chi si occupa di allenare, salvo poi gasarsi sulle scene di un film americano dove il lottatore di turno segue un allenamento fantascientifico sollevando alberi nel bosco o sfondando un banano a tibiate con una bella musica che gasa e che dice al cervello “ehi guarda come è duro quello la, ci voleva proprio l’allenamento killer per renderlo fortissimo!”. Pertanto è importante tenere conto del confine fra sacrificio e disciplina e abuso della propria posizione e voglia di prevaricazione.
Altro aspetto da tenere in considerazione è quello legato alla capacità di trasmissione delle proprie esperienze da parte di un ex lottatore. Gli oyakata sono cresciuti come i loro allievi nella realtà delle heya e quando si ritrovano ad insegnare e guidare le giovani leve lo fanno anche in virtù della loro esperienza personale che non sempre è applicabile e condivisibile con tutti. Faccio un esempio. Un lottatore viene allenato da un maestro molto esigente, sia fisicamente che moralmente, se l’allievo ha un carattere deciso a parità di mezzi fisici riuscirà a diventare un lottatore forte fisicamente e mentalmente, mentre un altro con uguali mezzi fisici potrebbe venir su tecnicamente bravo ma mentalmente debole oppure anche arrendersi e abbandonare il suo percorso. Questo per dire quanto possa essere difficile riuscire a plasmare la propria capacità di trasmettere la propria esperienza avendo a che fare con allievi dalle peculiarità fisiche e caratteriali molto diverse. C’è chi ci riesce e chi no, e anche questa capacità può avere dei risvolti all’interno delle dinamiche della heya.
Il caso più semplice invece è quello in cui all’interno della heya ci si ritrova una testa calda, un personaggio sopra le righe, indisciplinato e difficile da gestire. Da questi casi saltano fuori di solito le situazioni più al limite e, anche se solitamente si tratta di allievi può capitare anche che la testa calda possa essere l’oyakata.
Come abbiamo detto ad un lottatore è richiesto il raggiungimento di obbiettivi fisici, atletici e tecnici, ma anche il mantenimento di codici di condotta sia dentro che fuori dalla heya e dai classici spazi del sumo. Inoltre è richiesto che tale condotta morale venga passata alle nuove generazioni, facendo dei lottatori più forti e di alto rango dei modelli da seguire, arrivando a valutare tale capacità di condivisione ed insegnamento come criteri fondamentali per le figure del san’yaku, in particolare per ozeki e maggiormente per uno yokozuna.
I guai però possono capitare e capitano. E anche gli errori perché comunque parliamo di gestione di risorse umane. Che sia un lottatore indisciplinato, un oyakata troppo “deciso” nei suoi comportamenti o un gruppo di lottatori che si lascia trasportare dalla goliardia a volte questi “scandali” interni escono dai confini delle mura delle heya e raggiungono la conoscenza pubblica. E dico volutamente “a volte” perché con buona probabilità spesso certe cose vengono tenute entro i confini della heya e risolte o cercate di risolvere “in famiglia”. Questo comportamento omertoso viene fortemente condannato perché può causare problemi maggiori ed è contrario al principio di onestà e trasparenza che secondo il codice morale dovrebbe guidare un lottatore di sumo per tutta la propria vita e a maggior ragione quando ancora coinvolto nel grande sumo.
Come vengono punite queste violazioni dei codici morali e da chi? Beh il come è abbastanza variabile, in funzione della gravità della violazione ma anche del rango di chi la commette. Si può andare da avvertimenti ufficiali e multe (solitamente riduzione o sospensione dei salari) fino alla richiesta di abbandono delle proprie cariche (oyakata) o di ritiro dall’attività (lottatori) o anche alla chiusura della heya (temporanea o definitiva). Chi si occupa di tali provvedimenti è la JSA, Japan Sumo Association (o NSK, Nihon Sumo Kyokai) , un’organizzazione che, sotto la giurisdizione del ministero dell’educazione, cultura, sport, scienza e tecnologia si occupa di mantenere e sviluppare la tradizione e l’integrità del sumo. Tale organo origina dalle figure dei Daimyo, proprietari terrieri di origine feudale, un gruppo di magnati potenti che controllavano economicamente il Giappone e si occupavano di controllare e finanziare incontri e tornei di sumo. Fra i compiti della JSA c’è anche il reclutamento dei nuovi lottatori, dell’istruzione e dell’allenamento, compito che portano avanti con le scuole di sumo e con il sistema delle heya.
Uno dei motivi di maggior critica alla JSA è quello della disparità di giudizio su diversi accadimenti occorsi all’interno di diverse heya, sia problemi gestionali su casi di violenza sia su comportamenti oltre le righe di alcuni lottatori. Ovviamente trattandosi di un organo di controllo formato da oyakata e altre figure di spicco del mondo del sumo purtroppo entrano in ballo anche giochi di potere e decisioni spesso più soggettive che oggettive, noi da esterni prendiamo per buono che tutte le decisioni sono prese per il bene del sumo e per garantire il mantenimento e l’integrità della tradizione.
Il caso più recente è quello dell’ex Yokozuna Kisenosato, redarguito ufficialmente per aver lasciato partecipare dei minorenni ad una festa dove venivano consumate liberamente bevande alcoliche. L’oyakata però ha auto denunciato il suo errore ed è stato trattato con clemenza. Diverso trattamento invece quello subito dall’ex yokozuna Hakuho, la quale heya (Miyagino) è stata temporaneamente chiusa, e lui declassato al più basso livello di oyakata, a causa dei casi di violenza legati al lottatore Hokuseiho (costretto al ritiro sempre dalla JSA). Ovviamente è giusto che la punizione sia adeguata al peso della problematica, anche nel caso in cui si tratti comunque di errori di gestione degli insegnamenti morali da parte degli oyakata. Ciò che ha fatto storcere il naso però è che non troppo tempo prima un’altra heya, la Naruto guidata dall’ex ozeki Kotooshu, aveva avuto ugualmente problemi di violenza da parte di alcuni lottatori nei confronti di altri, in parte coperti dall’oyakata che se l’è cavata con punizioni molto meno pesanti.
Altri casi recenti di punizioni esemplari da parte della JSA sono quello dell’ex sekiwake Ichinojo, costretto al ritiro in seguito a comportamenti violenti nei confronti dell’oyakata e della okami-san, le squalifiche di Asanoyama, Abi e Ryuden per violazioni dei protocolli anti covid (l’ex ozeki fu squalificato per ben sei tornei oltre al salario sospeso, perché oltre ad aver violato le norme tentò anche di negare la propria colpa, aggravante importantissima per un ozeki che dovrebbe dare esempio positivo), per non parlare poi dei casi storici di Harumafuji (che colpì un giovane lottatore per punirne il comportamento in un locale e fu costretto al ritiro nonostante fosse Yokozuna) e di Asashoryu del quale non fu mai sopportata l’esuberanza dei comportamenti spesso sopra le righe e ritenuti fuori dai canoni per uno Yokozuna.
Chiudo con una osservazione personalissima, credo che già fra i compiti della JSA vi sia una contraddizione di fondo legata al compito di dover mantenere la tradizione e di garantirne l’integrità ma allo stesso tempo si sviluppare verso il futuro il mondo del sumo. Alcune pesanti contraddizioni nell’operato di questa organizzazione potrebbero sembrarci eccessive, legate a scelte soggettive piuttosto che ad una unità di azione oggettiva però credo che alla base il problema principale che devono affrontare costantemente sia quello di mantenere un soddisfacente equilibrio del “gioco” stando attenti ai personaggi che avrebbero il potenziale di smuovere troppo rapidamente le cose. Di base operano per il bene del grande sumo, che senza tradizione non sarebbe tale, c’è da augurarsi solo che la fase di sviluppo possa essere ben ponderata e magari proseguire nel garantire maggiore sicurezza fisica agli atleti e maggiore trasparenza che probabilmente aiuterebbe anche a riconquistare le giovani leve che si sentono sempre più lontane da un modo “antico” che fatica a stare al passo coi tempi.


Lascia un commento