Sarà forse perché il sumo non è così famoso nel mondo, sarà perché si tratta più di una disciplina che di uno sport vero e proprio; fatto sta che ogni qual volta viene fuori il tema su chi sia il più grande sportivo di tutti i tempi, mai si sente pronunciare il nome di Hakuhō Shō. Chi conosce il sumo però sa bene che non solo Hakuhō ha tutto il diritto di trovarsi nell’Olimpo mondiale degli atleti, ma forse – stando al suo palmares e ai suoi record – è addirittura la persona che più di ogni altro ha dominato in un singolo sport. È difficile infatti trovare un altro sport dove così tanti record appartengono a un solo atleta. Se si lasciano parlare i numeri non ci sono dubbi: il 69° Yokozuna è il più grande rikishi di tutti i tempi. Tuttavia nel suo percorso da lottatore prima e da oyakata poi non sono mancate le polemiche, e con questo articolo cercheremo di affrontare la doppia faccia della sua carriera la quale si trova ora all’ennesimo punto di svolta.
Umiltà
Uno dei principali motivi che hanno permesso ad Hakuhō di restare per così tanto tempo ai massimi livelli in uno sport così logorante è la sua umiltà fisica e mentale, il suo costante desiderio di migliorarsi, e il suo grande senso del dovere nell’incarnare il ruolo di yokozuna. Solo per dare un esempio, in occasione del suo 33° titolo in massima divisione (gennaio 2015) con il quale ha superato il record del leggendario Taihō, Hakuhō si è espresso così: “Anche se ho superato Taihō statisticamente, in termini di spirito sono ancora indietro”. [fonte] Per sua stessa ammissione, essere yokozuna significa anche porsi costantemente nuovi obiettivi e lavorare duramente per ottenerli, non crogiolarsi sugli allori e sui trionfi raggiunti.
Taihō docet: “Fai un passo falso e sei morto“
In uno sport dove dare l’esempio con le parole e con i fatti è uno degli elementi fondamentali, questa non può che essere una dimostrazione tangibile della sua grandezza. Dall’introduzione alla sua autobiografia pubblicata nel 2015, The Power to Win Through questo concetto è stato ulteriormente espresso. “Dico sempre che ho tre padri: il primo è il mio padre biologico Jigjidiin Mönkhbat distinto yokozuna del sumo mongolo, il secondo è l’uomo che mi ha accettato nel sumo giapponese e mi ha cresciuto, Miyagino oyakata, e il terzo era la mia figura paterna del sumo che purtroppo non è più con noi, lo yokozuna Taihō. Lui mi ha detto che il sumo è proprio come un combattimento con la spada, venir messo alle corde è come stare con le spalle al muro; fai un passo falso e sei morto. Intendeva dire che la sopravvivenza nel sumo richiede quel livello di preparazione – una prontezza a morire – ed è con quella mentalità, con quelle parole di Taihō fissate nella mia mente – mai dimenticate per un giorno – che ho sempre affrontato gli allenamenti e mi sono dedicato al sumo”. [fonte]
Hakuho capro espiatorio degli incontri truccati
Tuttavia durante la sua lunga carriera, tra cui 14 anni passati come yokozuna, Hakuhō ha dovuto affrontare non pochi momenti di difficoltà; uno dei quali rappresentato dallo scandalo degli incontri truccati abbattutosi nel mondo del sumo nel 2010. All’epoca il nativo di Ulaanbaatar era il solo yokozuna e di fatto era il volto-simbolo di questo sport. Lui solo, vista la sua notorietà, era chiamato a rispondere delle azioni compiute dei suoi colleghi e la stampa giapponese gli mise addosso una pressione spropositata. “Ripensandoci mi chiedo perché io da solo abbia dovuto affrontare la situazione. Avevo paura di andare ai tornei e nei posti affollati. Ero spaventato nel continuare a fare sumo, volevo scappar via” ha ricordato lo stesso Hakuhō in un recente documentario uscito dopo il suo ritiro. [fonte] Nonostante tutto però, il decoro con cui affrontò il problema e la determinazione con la quale ricondusse il sumo ai fasti di un tempo è ammirevole. Lo stesso Kitanofuji, 52° yokozuna, ne riconosce i meriti: “Se Hakuhō non fosse stato lì in quel momento non so dove saremmo ora”.
Ambire troppo al successo mostra i nostri limiti
Tra i tanti record messi a segno da Hakuhō, ce n’è uno che gli è sfuggito e cioè quello del maggior numero di vittorie consecutive, 69, fatto registrare dal 35° yokozuna Futabayama nel periodo 1936-39. Il lottatore della Mongolia però c’è andato vicino, in particolare nel 2010, fermandosi a 64 incontri vinti. All’epoca Hakuho si era già contraddistinto come uno dei più grandi lottatori, ma ancora una volta è riuscito a lasciare spazio al miglioramento rimpicciolendo il suo ego, trovando conforto anche nella sconfitta. “È davvero giusto per me superare il record di Futabayama?” si chiede Hakuho, ripensando a quei momenti.
Queste parole, tratte ancora una volta dalla sua autobiografia The Power to Win Through, sottolineano una straordinaria consapevolezza del proprio ruolo, inserito all’interno di un mondo carico di tradizioni. “Riflettendoci sono arrivato ad accettare di essere troppo presuntuoso. Futabayama ha stabilito il suo record con il sistema a due tornei, ci sono voluti più di tre anni per farlo. Quanto ero irrispettoso nel pensare di poterlo emulare in un solo anno”. [fonte] Ad interrompere la striscia di Hakuho (con una sconfitta che ridiede slancio alla sua carriera in un momento forse priva di stimoli) fu l’allora maegashira 1 Kisenosato, nel secondo giorno del Kyushu Basho 2010. Proprio Kisenosato, poi divenuto Yokozuna, al momento è l’oyakata sulla bocca di tutti, grazie al suo allievo Onosato fresco Yokozuna. Ed è quasi inevitabile fare un paragone tra le due carriere: uno pluridecorato come rikishi e criticato come capo-palestra, e l’altro martoriato dagli infortuni come lottatore ma molto più a suo agio nelle vesti di maestro.
Vincere anche nella sconfitta
Come detto sopra, Taihō aveva suggerito ad Hakuho l’importanza di tenere a mente l’eventualità del ritiro ad ogni sconfitta. Tuttavia quella subìta per mano di Kisenosato dopo 64 successi consecutivi lo spronò ad andare avanti. Dunque si tratta di una vera e propria messa in discussione degli insegnamenti ricevuti… e del resto questo è proprio ciò che devono fare gli alunni migliori. Superare gli insegnamenti ricevuti. “Nel 2010 se avessi battuto il record di Futabayama avrei potuto sentire che non c’era più niente da raggiungere e rinunciare, ma quel giorno Kisenosato ha riacceso il mio spirito combattivo. Senza il suo intervento non avrei ottenuto così tanto”.
La pietra dello scandalo
Purtroppo dopo tanti anni in cui Mönkhbatyn Davaajargal (questo il suo nome di nascita) ha dimostrato con i fatti la sua dedizione verso questa disciplina, la Japan Sumo Association ancora si ostina a usarlo come capro espiatorio per incolparlo e punirlo oltre misura per problemi commessi da altri. Questo è quanto accaduto negli ultimi mesi ad Hakuho, che aveva preso il nome di Miyagino oyakata per la carriera da allenatore terminata troppo presto. La pietra dello scandalo, che iniziando a rotolare ha creato una valanga, risale a febbraio 2024 quando Hokuseihō, allievo della palestra gestita da Miyagino, è stato accusato di atti di violenza e bullismo verso altri allievi della palestra. A quel punto la Miyagino-beya è stata temporaneamente chiusa e, dall’aprile dello scorso anno, Miyagino Oyakata e i suoi allievi sono stati affiliati alla Isegahama-beya (la palestra di Terunofuji). Miyagino Oyakata è stato ritenuto responsabile della supervisione e ha ricevuto una retrocessione di due ranghi, tra le altre penalità. Ha poi seguito una rieducazione sotto Isegahama Oyakata (ex Yokozuna Asahifuji) e ha svolto il suo ruolo di guida come allenatore verso i suoi e gli altri rikishi delle due palestre.
Il problema non sta tanto nella punizione inferta ad Hakuho e alla sua palestra (i cui progetti iniziali eranoo a dir poco ambiziosi), quanto alle tempistiche estremamente dilatate e incerte della Japan Sumo Association nel porre fine alla questione. E proprio questa incertezza di quando poter tornare a svolgere il suo lavoro di capopalestra in maniera autonoma, e la necessità di dover servire all’interno della Isegahama-beya come sottoposto a Terunofuji, un rivale più giovane di lui, Hakuho non le ha affatto gradite. Da qui nasce la decisione di dare le proprie dimissioni (ratificate dalla JSA il 2 giugno), un gesto allo stesso tempo pratico e simbolico piuttosto comune nel mondo del sumo. La sua assenza sarà un grave danno d’immagine, e il rammarico per tutti gli appassionati di questo sport è immenso perché, che piaccia o no, Hakuho ha sempre messo il bene di questa disciplina davanti al suo. E quindi possiamo solo sperare che anche questa triste decisione di lasciare lo sport che ama, Hakuho l’abbia presa per il bene stesso del sumo. Chissà, magari senza i vincoli anacronistici della JSA, Hakuho riuscirà a contribuire maggiormente alla crescita e diffusione del gran sumo.


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