articolo: Alessio Niffoi
Una delle tematiche sempre calde quando si parla di sumo è senza dubbio la questione legata a infortuni, problemi fisici cronici e alle forzate tempistiche di recupero. Se in uno sport di lotta full-contact ci si attende degli infortuni legati ad eventi traumatici quali colpi ricevuti o cadute, è altrettanto normale aspettarsi che tali problematiche vengano risolte con le giuste cure e, ovviamente, con il tempo necessario. I ritmi serrati di allenamenti quotidiani (ripetuti sia mattina che pomeriggio), tornei lunghi (7-15 giorni a seconda della categoria) e a stretto giro temporale (un basho ogni due mesi più 4 jungyo, tornei di allenamento/esibizione durante l’arco dell’anno) uniti alla dinamica di promozione/retrocessione che viene attuata in base al numero di incontri vinti/persi, rendono problematici per i lottatori poter dedicare il giusto tempo per il trattamento di problemi fisici e infortuni. In questo articolo andremo a vedere quali sono i principali problemi fisici ai quali possono andare incontro i lottatori di sumo, gli infortuni più diffusi e a che tipo di difficoltà possono incorrere qualora non dedichino il necessario tempo a recupero e cure.
Problematiche fisiche nel sumo
Qualsiasi sport svolto ai suoi massimi livelli, porta necessariamente i praticanti a spingere i propri limiti, mentali e fisici, per il raggiungimento e il mantenimento di prestazioni al top. Nel sumo gli allenamenti sono mirati allo sviluppo di capacità di grande sopportazione di importanti sollecitazioni di spinta e torsione, di equilibrio e di rapidità di movimenti. Tutto ciò in abbinamento con una presenza fisica notevole, imponente e spesso sproporzionata rispetto agli standard di altri sport di combattimento. Per quanto sia assodato che la costituzione fisica di un rikishi sia suddivisa in una “corazza” di grasso, che dà volume e superficie corporea, e da un nucleo principale di muscoli allenati allo stremo per sforzi impressionanti, si è concordi nel valutare la loro “obesità” con quella patologica e non accompagnata da costante attività fisica e allenamento a livello cardio-muscolare. L’alimentazione quasi forzata, con frequenza e quantità molto in eccesso in rapporto al normale fabbisogno porta ad ovvie problematiche e scompensi a livello fisiologico, che possono sfociare in patologie croniche come il diabete o problemi articolari/muscolari cronici legati alla maggiore sollecitazione di organi interni e delle articolazioni. Basti pensare che dopo il diabete (o meglio, avere il diabete in una condizione corporea che non ne favorisce il trattamento e anzi ne acutizza le problematiche) una delle condizioni principali che crea problemi cronici ai lottatori di sumo è la cellulite (da non confondere con quella “estetica”), ossia delle infiammazioni del tessuto connettivo a livello sottocutaneo le quali, oltre causare dolore necessitano trattamento con antibiotico per non rischiare di sfociare in patologie più gravi, più limitanti, e più pericolose per la salute.
Principali infortuni nel sumo
Oltre ai vari problemi legati agli adattamenti fisici, sono presenti nel sumo anche diverse tipologie di infortuni fisici ai quali i lottatori possono andare incontro per i seguenti motivi: colpi ricevuti dall’avversario, cadute negli scontri di lotta, cadute al di fuori del dohyo (che ricordiamo è rialzato dal suolo di 66 cm) e traumi distorsivi nelle fasi di lotta.
I cinque principali infortuni nel sumo sono i seguenti:
- Lesioni del tratto cervicale della colonna vertebrale (piuttosto ovvio in uno sport dove gli incontri iniziano nella gran parte dei casi con uno scontro “testa a testa” al tachi-ai)
- Sindrome di Burner (lesione nervosa transitoria che si verifica in seguito a uno stiramento eccessivo del tronco superiore del plesso brachiale o alla compressione della radice del nervo C5/C6, a seconda del meccanismo della lesione)
- Spondilolisi lombare (frattura di una parte della vertebra chiamata istmo)
- Lesione del legamento crociato anteriore (“anterior cruciate ligament ACL”)
- Lussazione acromion-claveare (lesione alla giunzione fra la clavicola e la scapola, “AC joint dislocation”)
Com’era facilmente prevedibile, le problematiche principali sono legate a traumi distorsivi o contusivi soprattutto a carico di arti e articolazioni, e a condizioni traumatiche a carico della colonna vertebrale sia nella porzione cervicale che in quella più distale fra le ultime vertebre lombari e le prime vertebre sacrali. Altri infortuni abbastanza frequenti sono di tipo muscolare come contratture e stiramenti. Come accennato, alcuni disturbi cronici possono essere legati anche a frequenza e natura degli allenamenti, ad esempio l’elevato carico assiale a cui viene sottoposto il corpo sin dalla giovane età può portare a scomparsa della lordosi, restringimento del forame della radice nervosa sulla terza e quarta vertebra cervicale, formazione di osteofiti e restringimento dello spazio discale nella quinta e sesta vertebra cervicale. E questo non fa altro che indicarci quanto sia importante lavorare sulla prevenzione e gestione del fisico di questi lottatori sin dagli inizi delle loro carriere, sia (e soprattutto!) per la loro salute sia per il raggiungimento e mantenimento di certi livelli di prestazione. La diagnosi precoce di spondilolisi, ad esempio, è fondamentale per evitare problemi cronici gravi che limitano la qualità delle prestazioni e successivamente anche la qualità della vita se non trattate per tempo e a modo.
Altra questione che può esporre a problematiche fisiche è “l’abbigliamento” dei lottatori. Negli sport da combattimento spesso si usano delle tenute minimali per favorire la libertà nei movimenti ma, comunque, sono presenti dei capi tecnici che proteggono o almeno coprono parte del corpo. Nel sumo l’unico indumento è il mawashi. Il mawashi, dal canto suo, rappresenta oltre che una minimalistica ma oggigiorno indispensabile, copertura visiva delle parti intime anche un elemento funzionale alla lotta sia come grip per il contatto con l’avversario che come “protezione” della parte terminale della colonna vertebrale. Il tessuto strettamente arrotolato alla vita dei lottatori aiuta, infatti, a proteggere il tratto fra la quarta vertebra lombare e la prima sacrale tuttavia, limitando di fatto il movimento della colonna nel tratto inferiore, ciò può favorire la comparsa di erniature fra la seconda e la quarta vertebra lombare.
Avere la quasi totalità del corpo esposta apre poi al discorso delle lesioni cutanee e di eventuali rischi di infezione, sia da contatto in fase di combattimento (accidentalmente graffi con unghie, ferite con sanguinamenti ecc) sia da contatto con… il dohyo! Esattamente, se negli altri sport da combattimento abbiamo a che fare con superfici realizzate con materiali lavabili e sanificabili, nel grande sumo si combatte su una superficie di terra argillosa che, volenti o nolenti presenta una sua flora batterica che può causare l’insorgere di infezioni a carico di zone dove il tessuto epidermico sia danneggiato. Uno studio si è occupato proprio di indagare sulla natura di questa flora batterica, andando a ritrovare ben 32 specie batteriche (appartenenti a 16 generi differenti). E il sale? Non disinfetta tutto? Eh no, nello studio è stato evidenziato che il sale lanciato dai lottatori effettivamente modifica questa flora batterica ma non agisce da sanificante battericida. Senza sale nella terra del dohyo prevalgono batteri gram-negativi mentre dopo diversi lanci di sale si osserva una transizione a favore dei cocchi gram-positivi. Le lesioni cutanee di base non sono pericolose per l’incolumità del lottatore, ma possono avere un impatto significativo sulle prestazioni e, pertanto, necessitano di particolare attenzione. La pratica sportiva può essere associata a lesioni traumatiche acute o croniche (vesciche, dermatiti da attrito, callosità, calli, cuscinetti delle nocche ecc), e a emorragie che spesso interessano le unghie, in particolare dell’alluce (onicocriptosi, retronichia, distrofia ungueale). Gli atleti sono anche più soggetti alle aggressioni ambientali (geloni da freddo, orticaria o panniculite, orticaria o eritema ab igne da caldo, scottature solari o fotosensibilità da raggi UV), alle infezioni cutanee (tinea gladiatorum, tinea pedis o onicomicosi, follicolite batterica, verruche plantari, molluscum contagiosum e herpes gladiatorum), dermatiti allergiche da contatto o da fotocontatto dovute ad attrezzature sportive (allergeni della gomma, calzature, nichel, acetofenone azine dei parastinchi, ecc. ) e prodotti topici utilizzati per proteggere o trattare problemi cutanei/muscolo-scheletrici (ketoprofene, filtri UV).
Problematiche legate al poco tempo dedicato alla cura
Oltre la natura e la gravità di un infortunio o di una condizione fisica alterata da patologie o disturbi cronici, si pone anche un ulteriore questione – e non di poco conto – che spesso rappresenta un fattore di gravità accessorio alla problematica che il lottatore deve affrontare: la recidività.
Come detto in apertura, uno dei grossi problemi legati all’integrità fisica dei lottatori di sumo è la scarsità di tempo da poter dedicare alla corretta gestione di un infortunio o di una patologia. È vero che un rikishi potrebbe fermarsi e recuperare completamente per poi tornare a lottare al pieno delle proprie possibilità, ma le tempistiche pressanti lo porterebbero spesso a ritrovarsi molto più in basso nel banzuke, magari perdendo la posizione da salariato o restando invischiato nelle dinamiche di una categoria più bassa di quella che aveva faticosamente raggiunto. Questo porta a un circolo vizioso in cui un lottatore cerca di recuperare più velocemente possibile, in modo rapido ma magari non abbastanza efficace rischiando di rendere il problema cronico e limitante o di incorrere in infortuni ben più gravi. Ci sono diversi studi a riguardo che dimostrano la cosa. È stato appurato che nei lottatori di sumo sono molto più alti della norma (in campo sportivo) i casi di recidiva dopo un’operazione di ricostruzione del legamento crociato anteriore del ginocchio, e questo è dovuto oltre che alle sollecitazioni da combattimento (abbiamo visto che trattasi di uno degli infortuni più ricorrenti nel sumo) anche al fatto che non viene investito il giusto tempo per una completa guarigione e riabilitazione. Altro esempio è quello legato alle fastidiosissime (e dolorose) “fratture di Jones”. Le fratture di Jones si manifestano quando si ha la rottura di un osso del piede nella parte specifica del quinto metatarso (sul lato del mignolo, sulla parte esterna del piede). Tali fratture oltre che essere limitanti per via del dolore e per il fatto che inficiano la corretta postura del piede in appoggio, hanno la brutta caratteristica di presentare dei fenomeni di guarigione ritardata (pseudortrosi) che di fatto allungano i tempi necessari al corretto e completo recupero e che portano a sottovalutare la problematica che, puntualmente, si ripresenta e se non correttamente trattata può sfociare in un disturbo cronico.
Al tempo insufficiente dedicato al trattamento di un infortunio o di una patologia si aggiungono poi anche problematiche che scaturiscono con “ritardo” in seguito ad un trauma durante il combattimento. Il momento del tachi-ai è delicatissimo, e lo scontro “testa a testa” (letteralmente) può portare a concussione, trauma cranico o traumi cervicali. Vista la struttura fisica dei lottatori, però, le conseguenze non sono sempre immediatamente manifeste e possono essere osservate nelle ore successive fino anche a qualche giorno dopo. Uno studio interessante ha evidenziato il caso di un giovane lottatore che dopo diversi contatti vigorosi durante un allenamento ha manifestato un leggero senso di vertigine e mancanza di forze nella zona terminale di braccia e gambe. Inizialmente tali sintomi furono scambiati per affaticamento, ma nelle ore successive il ragazzo iniziò a provare intorpidimento degli arti, problemi di equilibrio e lucidità. Gli esami a cui fu sottoposto non evidenziarono lesioni o fratture ma nel giro di un paio di giorni il giovane iniziò a soffrire anche di disfagia, non riuscendo a deglutire il cibo che ingeriva. Ulteriori esami più approfonditi evidenziarono che le ripetute contusioni sulla testa durante il butsukari-geiko avevano causato un trauma distorsivo al collo e diversi infarti cerebrali.
Questo esempio apre anche all’argomento della gestione delle problematiche fisiche che un lottatore di sumo può subire, e di quanto possa essere, a volte, anche difficoltoso intervenire in modo corretto e tempestivo. Ad esempio è il caso del Cefotiam, un antibiotico cefalosporinico che ha un attività ad ampio spettro ed è altamente utilizzato contro le batteriosi. Si è scoperto che nel dosaggio di tale farmaco nei riguardi di un lottatore di sumo è necessario calcolare la dose in base alla superficie corporea e non sul peso o sul peso ideale del soggetto come comunemente si fa.
Si può fare qualcosa per limitare infortuni e problematiche fisiche dei lottatori?
Da quanto abbiamo visto finora ci sono dei fattori dove non è possibile intervenire e altri dove sarebbe invece molto auspicabile farlo. Non si possono, ovviamente, limitare infortuni connessi alle fasi di combattimento, ma si potrebbe agire su questi altri fattori:
1) Altezza del dohyo;
2) Tempi di recupero garantiti (senza ripercussioni nella posizione del banzuke) per infortuni occorsi durante un basho;
3) Miglioramento delle attività di primo soccorso a bordo dohyo.
1) Abbassare il dohyo a livello del pavimento renderebbe necessario un aggiustamento delle camere per le riprese televisive ma niente che le moderne tecnologie non consentano di fare nel migliore dei modi. Il fatto che il dohyo sia rialzato dovrebbe essere legato alla visibilità maggiore per pubblico (soprattutto) e giudici ma in antiche stampe di epoca Edo sono visibili rikishi che lottano in dohyo non rialzati. D’altronde anche la scomparsa dei quattro pilastri posti agli spigoli del dohyo che sorreggevano il tetto (avvenuta nell’autunno del 1952, sostituiti con delle nappe pendenti da un tetto sospeso) hanno favorito visibilità e diminuzione di possibili infortuni.
2) Per quanto riguarda i tempi di recupero con rank “congelato” in passato era già stato fatto qualcosa: nel 1972 fu introdotto il Kosho seido, un sistema che consentiva a un rikishi infortunatosi durante un basho di saltare quello successivo per poter recuperare dall’infortunio senza perdere il proprio rank. Tale sistema venne dismesso nel 2003 a seguito dell’abuso nel suo utilizzo evidenziato soprattutto in divisione Juryo, dove molti lottatori per non perdere lo status di salariato improvvisavano infortuni poco chiari e usufruivano del “bonus”. In realtà un sistema simile ma revisionato potrebbe essere reintrodotto, magari costituendo una commissione medica esterna per la valutazione delle richieste e limitando il “bonus” ad un unico utilizzo annuale.
3) Le attività di primo soccorso a bordo dohyo sono state implementate negli ultimi anni con corsi di formazione per il primo soccorso agli oyakata e al personale che sta al controllo e alla supervisione di lottatori ed incontri. Questo soprattutto in seguito a brutti incidenti occorsi a dei lottatori come, ad esempio quello del 2021 che vide come sfortunati protagonisti Hibikiryu e i suoi poco preparati soccorritori. Ovviamente in questo ambito si potrebbero fare delle grosse migliorie non solo come personale specializzato (e non solo “formato”) ma anche come attrezzature adeguate e loro disponibilità immediata in tempi rapidissimi.
Riferimenti
Se volete approfondire argomenti e spunti forniti con esempi ecco di seguito le fonti utilizzate nell’articolo:
“Specific sports-related injuries “ pp. 397-413 Piedade et al. 2021
“Acromioclavicular joint dislocation in sumo wrestlers” Nakagawa et al. 2003
“Analysis of bacterial flora in dohyo soil” Osafune et al. 2007
“Second anterior cruciate ligament injuries after anterior cruciate ligament reconstruction in professional sumo wrestlers” Shimizu et al. 2020
“ Jones fractures in sumo wrestlers: three case reports” Hoshino et al. 2019
“ Cefotiam disposition in markedly obese athlete patients, Japanese sumo wrestlers” Chiba et al. 1989
“Late dysphagia in a sumo wrestler after a sumo bout” Osawa et al. 2013


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