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Il mondo del sumo raccontato da un italiano in Giappone
大相撲について イタリア人が イタリア語で語る

articolo: Alessio Niffoi

Qualsiasi sport o attività competitiva necessità di regole per un corretto svolgimento, per garantire equità a tutti i partecipanti e per rendere ripetibile alle medesime condizioni la suddetta attività. Alcuni sport hanno poche semplici regole, basti pensare ad esempio alla corsa: si stabilisce una distanza ed il primo a raggiungere il traguardo è il vincitore. Ci sono poi sport che invece necessitano di molte regole, che più entrano nello specifico e più tendono ad essere difficili da applicare e da comprendere per chi non è un praticante o un assiduo appassionato della disciplina.

Questo incipit si rende necessario per addentrarci in quella che è la regola meno intuitiva, meno semplice da applicare e meno conosciuta dall’appassionato medio di sumo: lo shini-tai  (死に体).

Ma prima di tuffarci in definizioni, spiegazioni ed esempi facciamo un rapidissimo riassunto sulle principali regole del sumo. Come si vince un incontro di sumo? Semplice: forzando fuori dai limiti del dohyo il proprio avversario o forzandolo a toccare terra per primo con qualsiasi altra parte del corpo che non siano le piante dei piedi (eh si, se la parte superiore del piede tocca la terra del dohyo si perde). Per raggiungere tale scopo è consentito quasi tutto compresi sgambetti, leve, proiezioni e schiaffoni. Non sono consentiti oltre che i “colpi bassi”, calci e pugni e nemmeno tirare per i capelli l’avversario, le prese sul mawashi sono valide in qualsiasi punto tranne la parte frontale che va a coprire i genitali. Ciò detto, chi per primo tocca terra ha perso. Beh, non sempre, c’è un caso particolare per cui la vittoria può andare a chi per primo assaggia la ruvidità della terra del dohyo, quando il proprio avversario si trova in condizioni di shini-tai.

Si vede benissimo che Takakeisho (mawashi nero) toccherà per primo il suolo perché Ura (mawashi rosa) ha fatto un balzo felino. I giudici decreteranno la ripetizione del match per “shini-tai”. (fonte)

Un po’ come il fuori gioco nel calcio questa regola nel sumo crea spesso polemiche (che non vanno avanti per giorni, settimane… anni come nel calcio!) che lasciano i “tifosi” di sumo (che per dovere di cronaca vanno considerati una sottocategoria degli appassionati di sumo e solitamente siamo noi occidentali che ci avviciniamo al grande sumo e ci portiamo dietro le tossine sportive di altri sport come appunto il calcio) stupiti per il verdetto emesso dal gyoji o dagli shinpan attraverso il mono-ii e spesso contrariati perché uno dei due lottatori tocca terra chiaramente per primo. Perché questa regola è così controversa e discussa? Per due motivi: non è facile per i non addetti ai lavori o per gli appassionati riconoscere con chiarezza quando un lottatore è in condizioni di shini-tai e soprattutto (motivo n.2) perché in molti non conoscono tale regola o ne hanno semplicemente un’idea vaga e confusa. Definiamo un attimo la regola dello shini tai e poi vediamo insieme il perché sia la situazione più opinabile che si manifesti nella chiusura di un incontro di sumo.

Il significato letterale di shini-tai è “corpo morto”, o “corpo morente” e si riferisce allo status di un lottatore che si ritrova nella condizione di non poter recuperare una posizione valida sul dohyo, ossia essere in fase di caduta che lo porterebbe o oltre la corda o a toccare terra . In poche parole una posizione non recuperabile in alcun modo .

In che modo un lottatore può ritrovarsi in tale condizione? Semplice, in seguito all’attacco dell’avversario che lo costringe con la sua iniziativa a perdere l’equilibrio e a non poter evitare la caduta o l’uscita fuori dal dohyo. Questo principio è la chiave per capire bene come viene applicata la regola dello shini-tai e in che momento un lottatore viene riconosciuto in tale posizione. Il principio dell’iniziativa (che è presente anche in altri sport) va a premiare il lottatore che attacca, chi si difende deve farlo in modo da non ricadere in posizioni non recuperabili pertanto salti clamorosi ad evitare il tuffo dell’avversario in spinta sono utili solo se l’atterraggio può avvenire all’interno dei limiti del doyho e senza che si vada a toccare con altre parti del corpo che non siano le piante dei piedi. Spesso capita di vedere lottatori molto agili compiere clamorosi salti sul limite della corda per evitare il pieno impatto dell’avversario che letteralmente gli si tuffa addosso in stile placcaggio rugbistico. Beh, spesso tale manovra è inutile perché se si riesce ad evitare completamente l’impatto (praticamente impossibile viste le brevi distanze fra i lottatori) si finisce oltre la corda e anche se ci si trova ancora in aria quando l’attaccante tocca terra si è ovviamente sconfitti. Se invece, come accade nel 99% dei casi si subisce l’impatto e saltando lo si evita parzialemente, si subisce una spinta sulla parte bassa del corpo che porterebbe a non poter atterrare il salto in modo “legale” ossia appoggiando solo la pianta dei piedi. Anche in tal caso nonostante ci si trovi ancora in aria quando l’attaccante tocca terra si è sconfitti.

I concetti principali per capire al meglio la regola sono questi: iniziativa di chi attacca che concede un vantaggio, manovra disperata chi di difende che pone in una posizione non recuperabile nonostante l’apparente efficacia di un gesto disperato che può portare chi lo compie a toccare terra per ultimo ma semplicemente perché si è subito l’attacco e ci si è posti in una condizione “passiva” di difesa.

Ovviamente non tutti i casi sono chiari e cristallini, ci sono incontri molto equilibrati e movimentati dove entrambi i lottatori passano dall’attacco alla difesa oppure si attaccano “simultaneamente” con spinte. Spesso tali incontri terminano con entrambi i lottatori vicini al tawara che vanno a cascare o a superare la corda quasi nello stesso momento. In tali casi ovviamente è necessaria la bravura in primis del gyoji e secondariamente, se necessario, degli shinpan col mono-ii, per valutare se il match si sia concluso con una vittoria “netta” o se possa sussistere la condizione di shini tai per uno dei due lottatori che si è ritrovato in quel momento a subire l’iniziativa.

Il concetto di iniziativa è piuttosto semplice ma non significa che se si viene attaccati al limite del tawara si è per forza “corpi morti”, anzi, capita spesso di vedere lottatori rigirare l’attacco subito in loro favore sfruttando l’inerzia del movimento dell’avversario, ma affinchè ciò sia utile deve essere fatto in modo da non porsi in una posizione non recuperabile. In soldoni, se si viene attaccati sulla corda e si riesce con un agile movimento di piedi a sfruttare la spinta avversaria e mandarlo fuori dal dohyo mentre i nostri piedi sono belli fissi sulla corda si vince e anche in modo clamoroso ed il pubblico sarà pronto ad applaudire, se invece si viene spinti con forza e per evitare di cadere o di finire fuori sull’impatto si salta all’indietro e si aspetta che l’avversario atterri prima di noi, beh li siamo “corpi morenti” e mentre stiamo in aria abbiamo già perso.

L’esempio più semplice e ricorrente che viene fatto per spiegare lo shini-tai è quello del lottatore che, per forzare al suolo il suo avversario, usa tutto il suo corpo, peso e stazza per “buttarsi” addosso all’opponente facendo in modo che sia sbilanciato e crolli all’indietro. Ovviamente non è una mossa facile da fare perché se l’avversario ha un’altezza ed una costituzione simile è molto difficile riuscire a sbilanciarlo se non con uno sgambetto, mentre se è più basso e minuto avrà il vantaggio della maggiore agilità. In tutto ciò, se chi tenta tale mossa (attaccante) mentre i due stanno cadendo mette una mano per terra per evitare o limitare i danni dell’impatto (per se stesso e per entrambi) non perde ovviamente il vantaggio dovuto all’iniziativa e sarà il vincitore anche se l’avversario, shini-tai in tale circostanza, tocca il suolo qualche istante dopo. L’azione di proteggersi mettendo la mano a terra viene detta “kabai-te” (かばい手 mano di protezione) e uno dei casi più famosi di tale situazione risale al basho di Gennaio del 1972 dove Kitanofuji sconfisse Takanohana in questo modo (non senza discussioni).

Kitanofuji surclassa Takanohana (padre) ma per evitare di farse e fare male mette giù la mano destra. Nonostante questo viene dichiarato vincitore perché i la mano viene considerata “kabai-te”. (fonte)

Altro caso in cui è semplice l’applicazione della regola dello shini tai è quando un lottatore sta realizzando uno tsuri-dashi sull’avversario, ovvero quando, dopo averlo agguantato con entrambe le mani al mawashi, lo solleva di peso e lo trasporta oltre la corda. Se in questo frangente chi solleva (attaccante, colui che ha l’iniziativa) va accidentalmente oltre il tawara con un piede è comunque il vincitore finchè la sua azione di avanzare è continua e l’avversario ha entrambi i piedi in aria. Nel caso dello tsuridashi solitamente non ci sono clamorose lamentele o commenti da parte degli appassionati perché appare chiarissimo che la posizione di vantaggio di chi attacca sia netta.

Il caso più discutibile e discusso è quello dell’attacco in spinta da parte di un lottatore, che a volte si conclude, in prossimità della corda, con un vero e proprio “tuffo” sull’opponente per sfruttare tutto il proprio peso nella proiezione in avanti. Tale situazione lascia spesso dubbi negli appassionati perché, nel caso in cui il difendente per evitare il pieno impatto compia un acrobatico salto all’indietro, l’impressione è che questi abbia “schivato” l’attacco e chi si è lanciato sia rimasto fregato toccando terra per primo. Come abbiamo ampiamente visto in precedenza questo è un chiaro caso di shini-tai dove chi attacca ha il vantaggio dell’iniziativa e chi difende deve farlo (se può) senza mettersi in una posizione non recuperabile (ed il salto non consente di farlo). Alcuni arrivano ad obbiettare sostenendo che anche il “tuffo” di chi attacca sia una posizione irrecuperabile, ma ovviamente se tale mossa porta a mettere l’avversario in condizione di essere sconfitto è una mossa valida, vincente e sorretta dal principio dell’iniziativa. Non sempre il lottatore in shini-tai mette in difficoltà il gyoji con un salto ma capita che la mossa disperata sia aggrapparsi al mawashi dell’avversario. Anche in quel caso, nonostante il difendente trovando il mawashi riesca a sbilanciare l’avversario attaccante tanto da fargli toccare terra il risultato non cambia: vince chi ha attaccato e non chi ha provato nella difesa una mossa estrema portata in una posizione non recuperabile (vedasi il match fra Enho e Takakeisho nel basho di Luglio del 2020).

Takakeisho spinge il leggero Enho che non ha speranze di rimanere sul dohyo nonostante si sia spostato di lato. Takakeisho per l-impeto prosegue la sua corsa sino ad uscire fuori dal limite consentito. (fonte)

Arrivati a questo punto, sperando di aver aiutato a fare chiarezza su questa discussa e spesso non ben conosciuta regola è d’obbligo concludere dicendo che ne i gyoji ne gli shinpan sono infallibili. Uno sport di contatto come il sumo che si svolge spesso con manovre rapidissime può portare a situazioni al limite e non semplici da interpretare, e nonostante un parziale utilizzo di nuove tecnologie (il capo degli shinpan è collegato con un auricolare ad altri due shinpan che hanno controllo video in stile var e riferiscono) qualche volta può scappare l’errore. E qui torna a bomba l’esempio del fuori gioco, che nonostante l’arrivo del var continua a lasciar spazio a lamentele, accuse, dibattiti e quanto di più urlato il calcio abbia da offrire fra giornalisti e tifosi.


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Quote of the week

“Like a demon, you all go out to win. When you step out of the ring, you are gentle. For me that’s what dignity is. Yokozuna sumo… no matter if you are young or if you are old, even if you are a nice person, a good Yokozuna, if you don’t get results on the dohyo you should retire. I believe that winning is Yokozuna sumo

~ Hakuhō Shō