articolo: Alessio Niffoi
Se siete abbastanza appassionati del grande sumo da ascoltare anche le dichiarazioni post match da parte dei lottatori, avrete sicuramente sentito tante volte questo commento: “Penso a fare il mio sumo” oppure “non sono riuscito ad imporre il mio sumo”. Tutti i sumotori, sin dall’inizio della loro carriera, cercano di capire quali siano i propri punti di forza, venendo consigliati ed instradati ad apprendere e migliorare costantemente le tecniche che meglio gli consentiranno di sfruttare il proprio fisico, la propria attitudine, e la propria predisposizione a questo tipo di lotta. Per “mio” sumo un lottatore intende, pertanto, il riuscire a vincere combattendo secondo il proprio stile, senza doversi adattare a quello dell’avversario o trovare una vittoria per circostanze fortuite o casuali. Il “dominare” il proprio opponente è l’obbiettivo cardine di due sumotori che si fronteggiano, il mettere sul dohyo il proprio sumo è il requisito minimo; se poi combattendo in tal modo si subisce il sumo dell’avversario significa che è necessario allenarsi meglio, con maggiore intensità e impegno.
Ogni rikishi ha il suo stile
In altre occasioni abbiamo parlato delle regole del sumo e di come la loro semplicità aprano ad un vastissimo ventaglio di interpretazioni sul come combattere e cercare di vincere un incontro. I principali adattamenti sono l’oshi-zumo e lo yotsu-zumo, ossia chi decide di impostare il proprio modo di combattere privilegiando la spinta ed il forzare fuori dal dohyo l’avversario, e chi imposta il proprio stile sul combattimento corpo a corpo, puntando alla presa sul mawashi per sbilanciare l’avversario e mandarlo a terra oppure sovrastarlo fisicamente tanto da condurlo oltre la corda sollevandolo (o mandandolo oltre il tawara praticando qualche sorta di leva, proiezione o sgambetto).
La scelta del proprio stile di combattimento parte dal massimizzare la propria attitudine e le proprie caratteristiche fisiche, e prosegue lavorando per migliorare entrambe con allenamento e alimentazione. Un appassionato di sumo può capire con un basso margine di errore quale tipo di sumo prediliga un lottatore semplicemente osservandone la costituzione fisica. Ovviamente per diventare molto bravi, scalare il banzuke e raggiungere (e mantenere!) i massimi livelli è importantissimo essere anche molto versatili, conoscere benissimo anche le tecniche e i punti forti del sumo avversario quando diverso dal proprio, sia per massimizzare il proprio modo di affrontare tali avversari sia per poter utilizzare certe tecniche a propria volta in caso di necessità.
Questa macro suddivisione crea anche un frazionamento fra i sostenitori e gli appassionati del sumo, che indirizzeranno le proprie simpatie anche in funzione dello stile di combattimento di un lottatore e di quanto questi sia in grado di suscitare in loro emozioni nel seguirne i combattimenti e l’evolversi della carriera. Anche i giapponesi tendono a simpatizzare maggiormente per chi si dimostra vincente e costante con buone prestazioni, ma noi occidentali, che spesso osserviamo il grande sumo semplicemente come uno sport qualsiasi e pertanto con gli occhi da tifoso, tendiamo ad essere più estremi e critici. Una delle cose belle nel seguire il sumo (anche solo vedendolo come un semplice sport) è il fatto che si possono trovare diversi lottatori che incontrano la nostra simpatia e per i quali possiamo “fare il tifo” (il termine più adatto sarebbe “sostenere”), e non sempre saranno tutti lottatori con lo stesso stile di sumo. Si avrà quasi sempre una preferenza fra lottatori “che spingono” e lottatori più “tecnici”, ma per altri motivi ci si ritrova sempre a simpatizzare e seguire anche lottatori molto diversi fra di loro.
Come nasce e si modifica l’amore verso un rikishi
Cos’è che rafforza la considerazione su un rikishi fino a portarci a sostenerlo e seguirne la carriera? Ovviamente i risultati raggiunti, ma la vera differenza, a mio avviso, sta anche nel modo in cui tali risultati vengono conseguiti. Un lottatore che risulta dominante e continuo nelle vittorie e lo fa imponendo il proprio sumo, oltre essere ovviamente un campione sarà sicuramente fra i favoriti del pubblico. Il successo ottenuto può, però, anche scemare o essere sostituito da sentimenti opposti se non si è più capaci di vincere, soprattutto con continuità, ma ancor di più se si va a minare la propria dignità di lottatore con azioni o comportamenti discutibili.
Mi scuso per il lunghissimo preambolo, ma vista la delicatezza dell’argomento, si è reso necessario porre delle basi da cui far partire il nocciolo del discorso.
Si è appena concluso l’Aki basho 2023, torneo che ha regalato emozioni altalenanti e terminato con una gran rimonta dell’ozeki Takakeisho, poi vincitore del Yusho sul giovanissimo talento Atamifuji, che ha “sprecato” ben due possibilità di aggiudicarsi il torneo. Questo basho però ha scatenato una sequela di critiche, commenti e osservazioni per il modo in cui si è concluso: henka dell’ozeki su un maegashira 15 (già incontrato e battuto nettamente tre giorni prima) al play-off.
Diversi punti di vista
I due argomenti principali che sono andati a collidere sono ovviamente l’henka e il rank di ozeki con gli oneri che comporta. I detrattori dell’ozeki si sono affrettati a scriverne di tutti i colori, criticandolo in modo anche feroce per non aver voluto affrontare il suo avversario, per essere stato codardo, per aver voluto vincere facilmente, per aver disonorato il rank di ozeki e chi più ne ha più ne metta. Altro schieramento è stato quello degli “sportivi”, ossia coloro i quali vedono il sumo semplicemente come uno sport qualsiasi (ed è secondo me una posizione accettabile anche se non pienamente condivisibile per un appassionato del grande sumo a tutto tondo) e pertanto vedono l’henka come una mossa consentita dal regolamento e dunque utilizzabile senza alcuna implicazione “etico-morale” e, di conseguenza, il modo più semplice in cui Takekeisho poteva raggiungere lo scopo di vincere. Altra fazione è poi quella dei “puristi” del sumo che, di contro, danno maggior peso all’aspetto ritualistico e storico del sumo e trovano inaccettabile che un ozeki possa “disonorare” il rank scegliendo di non dare il petto all’avversario al tachi-ai per vincere in modo poco dignitoso. Restano poi i sostenitori dell’ozeki, i tifosi, che in barba a tutto si accontentano di sventolare il quarto successo in makuuchi del loro beniamino e come questo sia avvenuto è quanto di meno importante possa esserci nelle loro celebrazioni.
Personalmente, scomodando citazioni di aristotelica derivazione, credo che “in medio stat virtus”, ossia che le posizioni estreme siano quanto di meno vicino possa esserci ad una ragionevole considerazione dell’accaduto (in particolare) e sull’argomento (in generale). Ma prima di argomentare meglio questo mio pensiero credo sia il caso di approfondire un attimo i due concetti che hanno infuocato questo immediato post basho: henka e oneri dell’ozeki.
Henka, solo una delle tante “variazioni”
Chi si avvicina al sumo resta un po’ spiazzato dalla vasta nomenclatura che si ritrova a dover fronteggiare e scoprire incontro dopo incontro. Una delle cose che maggiormente incuriosisce all’inizio sono i nomi delle varie kimarite, ossia le tecniche con cui viene sancita la vittoria di un match. Yorikiri, sukuinage, oshitaoshi, hatakikomi etc con maggiore o minore frequenza si sentono determinati appellativi fino a che non si arriva a sentir pronunciato dai commentatori “henka”, vedendo tuttavia un altro termine ad indicare la kimarite vincente per quell’incontro. Questo perché l’henka, di per sé non è una kimarite. Il termine henka significa “cambiamento”, “cambiare”, “variazione” ed è riferito esclusivamente ad un movimento laterale durante il tachi-ai eseguito per evitare l’impatto diretto con l’avversario come vorrebbero i canoni classici del sumo (da qui la definizione di “variazione” da ciò che è atteso).
La vittoria però non viene raggiunta con un semplice spostamento laterale a schivare la carica avversaria ma deve seguire un azione che concluda questa posizione di vantaggio ponendo fine al match; solitamente l’avversario viene rapidamente spinto a terra forzando sul collo o sulla schiena (hatakikomi), oppure l’inerzia del movimento in avanti viene sfruttato accompagnando la corsa dell’avversario con una spinta anche sfruttando il mawashi per avere più grip (tsukiotoshi, okuridashi). Quando il movimento laterale per schivare, sorprendere, sbilanciare l’avversario viene eseguito dopo il tachi-ai si parla invece di “inashi”.
La storia vuole che l’inizio di un incontro di sumo (per chiarezza parliamo dell’inizio vero e proprio anche se il match inizia con i vari rituali che vengono ripetuti più volte) avvenga con i due lottatori che si ritrovano a sincronizzare i propri respiri e che si caricano “di testa” l’uno contro l’altro. La “variazione” a cui ci si riferisce con il termine henka è lo scostamento da tale pratica, ma, per correttezza va ricordato che ci sono diversi modi in cui il tachi-ai può variare da quello che in teoria dovrebbe essere uno scontro “testa contro testa” (che purtroppo anche portare a brutti infortuni, nonché a trauma cranico e commozione cerebrale nel peggiore dei casi). Uno dei due lottatori può caricare in una posizione molto bassa con lo scopo di sollevare il baricentro dell’avversario, con il movimento dal basso verso l’alto che destabilizza e crea un vantaggio. Uno dei due lottatori può attaccare direttamente portando una mano alla gola dell’avversario per alzarne il baricentro e forzarlo all’indietro con la testa (nodowa). Uno dei due lottatori può partire dando uno schiaffone all’avversario per destabilizzarlo, intontirlo e approfittare velocemente dell’istante di offuscamento che ne può derivare. Altra tecnica che si vede raramente ma che a volte viene riproposta è il “nekodamashi” ossia battere le mani di fronte al volto dell’avversario (senza colpirlo!) per distrarlo con il gesto ed il rumore e avvantaggiarsi dell’eventuale effetto sorpresa.
Ci sono poi anche tecniche più violente e meno da gentleman come il kachi-age, ossia colpire l’avversario con l’avambraccio piegato (non con il gomito!) caricando puntando al petto o al mento per destabilizzare e sollevare il baricentro dell’opponente. Tutte queste tecniche non evitano l’impatto ma cercano invece di trarne vantaggio anche se, praticamente, comunque rappresentano una variazione dell’impatto atteso nel tachi ai. Casi più rari che rappresentano sempre una variazione ma non sono solitamente catalogati come henka sono i salti; alcuni lottatori che hanno fatto dell’agilità la propria arma capita che provino a sfruttarla anche al tachi ai cercando di sorprendere l’avversario con un salto al momento del via.
L’henka è dunque una mossa legale e la base della sua brutta “reputazione” è legata al fatto che rappresenta una variazione dall’atteso, un voler evitare di fare le cose come ci si aspetta che vengano fatte. Esattamente come altre mosse come abbiamo visto ma in modo considerato forse meno “virile”.
Ozeki, risultati e costanza ma non solo
Quando si segue per la prima volta la “corsa” di un sekiwake per il raggiungimento del rank di ozeki ci si incuriosisce nello scoprire che ci siano dei requisiti da soddisfare che, diversamente dalle promozioni fino a sekiwake, necessitano di ottimi risultati con costanza nel tempo. Contrariamente a quanto si pensi e a quanto spesso si possa “imparare” senza documentarsi correttamente, non c’è una regola fissa e scolpita nella pietra che indichi come si diventa ozeki, ma solo delle linee guida, delle indicazioni che vengono seguite da chi decreta le promozioni da un rank all’altro.
Generalmente per passare da sekiwake ad ozeki sono necessarie 33 vittorie nell’arco di tre tornei consecutivi, con almeno 10 vittorie nell’ultimo torneo. Ci sono state però promozioni anche con meno vittorie e partendo dal rank di komusubi, prestazioni impreziosite però da una costanza di buoni risultati nel lungo periodo (magari diversi tornei conclusi in doppia cifra) oppure con la vittoria di un Yusho o il conseguimento di uno o più jun-yusho (secondo posto, che equivale ad essere stati in lotta per la vittoria). Ciò rende il raggiungimento del rank di ozeki una delle imprese più difficili nel sumo (passare da ozeki a yokozuna è un altro discorso complicato ma paradossalmente più semplice se si considera che è quasi certo essere promossi a yokozuna vincendo due basho consecutivi), e richiede a chi consegue tale risultato che venga mantenuto tale livello di prestazioni, e che sia profuso l’impegno anche nella diffusione dei principi del sumo fra i più giovani e nelle categorie inferiori andando a ricoprire una figura di guida e insegnamento anche durante gli incontri fra un basho e l’altro e in tutte le occasioni di manifestazioni e celebrazioni.
Come abbiamo visto, ad un ozeki, per diventare tale e per mantenere il rango non sono richiesti solo freddi numeri legati alle vittorie, ma anche attitudine, rettitudine ed un ruolo di esempio per gli altri lottatori. Tale concetto è legato a ciò che viene definito “Hinkaku”, ossia il principio di dignità e grazia che devono contraddistinguere necessariamente i ranghi più alti del banzuke. Tale termine è solitamente utilizzato quando viene promosso un nuovo yokozuna, e sta ad indicare ciò che sono i requisiti non direttamente legati alle qualità da lottatore, alle vittorie, ai numeri ma soprattutto alla qualità umana dell’individuo, al suo contegno e alla sua attitudine. Inutile ricordare che uno yokozuna è un ozeki “speciale” ( in passato il rank più alto nel grande sumo era quello di ozeki) pertanto tali principi sono ricercati anche quando si promuove un nuovo ozeki.
Takakeisho vs Atamifuji
Ciò detto arriviamo finalmente al succo del discorso: l’henka di Takakeisho è stata una mossa non degna di un ozeki? Un gesto antisportivo? Un esempio negativo? Un atto di egoismo per una facile vittoria?
Sinceramente credo che non sia stata nulla di tutto questo e vado a spiegarvi il perché del mio pensiero. L’henka come abbiamo detto è una mossa completamente legale, spesso rischiosa e che può esporre chi la fa, in caso di insuccesso, a clamorose critiche. Fare henka è dunque una cosa normale? Sportivamente parlando sì, anzi probabilmente concede a lottatori di piccola stazza di poter disporre di un’arma in più (fosse anche solo a livello psicologico) contro sumotori più alti e pesanti di loro, oppure può rappresentare una sorta di spada di Damocle che può abbattersi su chiunque da parte di qualsiasi avversario, e sulla quale bisogna riflettere e stare attenti al momento del tachi-ai.
È disonorevole farla? È una mossa da codardi? Non credo, come detto ci si espone a rischi nell’eseguirla e il fatto che possa essere una scelta per una vittoria “facile” è opinabile. Solitamente quando la esegue un rikishi di livello inferiore su uno che sta più in alto sul banzuke viene anche applaudita come gesto coraggioso o scelta furba e intelligente, mentre se la esegue un rikishi di livello superiore viene considerata una codardia, come se si avesse paura di scontrarsi a viso aperto con l’avversario. Chiariamo un attimo anche questo punto: dopo diversi tornei in cui ci si scontra con gli stessi avversari, unitamente agli allenamenti inter-heya fra rikishi di stable diversi, ci si inizia a conoscere, si studia e si capisce il sumo degli altri lottatori, si possono prevedere determinate mosse, e si comprendono i punti di forza dai quali bisogna difendersi e i propri possibili vantaggi su questo o su quell’avversario. In questi casi poter disporre di un elemento sorpresa può dare un’arma in più in momenti delicati, e per momenti delicati intendo momenti in cui un lottatore sente il bisogno di maggior sicurezza psicologica o fisica.
Eh sì, perché un altro aspetto può essere legato alla condizione fisica del momento del lottatore che deve distribuire le energie per ben 15 giorni di torneo, e spesso deve affrontare infortuni più o meno gravi senza che noi appassionati nemmeno lo immaginiamo. Proprio come dice il termine “variazione”, l’henka può essere anche “variabile” in più nello svolgimento di incontri e interi tornei.
Avvalersi di una mossa come l’henka è da considerarsi segno di debolezza/insicurezza da parte di un lottatore altolocato come rank (un membro del san’yaku ad esempio) se viene eseguita su un maegashira? È accettabile se viene eseguita verso un pari rank? Nel rispondere a tali domande dovrebbe essere usato lo stesso criterio perché alla base della risposta ci dev’essere la considerazione dei fattori che hanno portato alla scelta di usare tale mossa. Il perché, come detto, può essere legato alla ricerca di un effetto sorpresa contro un rikishi che si ritiene pericoloso da affrontare a viso aperto (sempre o in quel preciso momento) oppure per evitare uno scontro potenzialmente pericolo se non si è in piena forma, oppure anche ad una risposta immediata all’attacco dell’avversario (eh sì, credo che l’henka possa venir fuori anche non pianificata). Come abbiamo visto ci sono altre soluzione per evitare un tachi-ai classico, alcune anche molto più violente ma considerate con maggior favore o anche indifferenza perché più vicine al concetto di “lotta” rispetto all’henka. Tanto per chiudere il concetto persino alcuni yokozuna si sono serviti dell’henka, anche in momenti molto importanti e anche contro maegashira, come hanno usato spesso attacchi con ceffoni, avambracci sul mento o mani dirette alla gola.
Cosa ne pensiamo noi
E adesso, per soddisfare la vostra curiosità, bisogna rispondere alla scottante domanda: Takakeisho ha sbagliato a fare henka al play-off contro Atamifuji?
Se avete letto tutto quanto scritto sopra con attenzione avete già avuto la mia risposta, ma vediamo di arrivarci con un paio di rapide considerazioni sul caso specifico. Se Takakeisho avesse affrontato Atamifuji apertamente e avesse perso sarebbe stato criticato in quanto ozeki che fa brutta figura perdendo contro un maegashira 15. Takakeisho aveva combattuto contro Daieisho pochi minuti prima (e sappiamo tutti che le sue capacità aerobiche sono limitate), mentre il più giovane Atamifuji si era potuto riposare per più tempo. Takakeisho veniva da un infortunio e nonostante abbia raggiunto 11 vittorie, se le andiamo ad analizzare, in poche è stato dominante come quando sta bene e diverse volte ha dovuto “arrangiarsi” perché la sua famosa spinta non era sufficiente, dovendo aggiungere anche maggiore mobilità di gambe per schivare avversari, fare inashi e salvarsi coi piedi vicini al tawara. Tutto ciò se vogliamo vederlo senza ipocrisie ci fa capire che l’ozeki non era in condizioni fisiche ottimali.
Con questo non voglio dire che Takakeisho fosse costretto a fare henka, anzi, credo che avrebbe potuto affrontare Atamifuji a viso aperto, forte della sua maggiore esperienza e freddezza in quei momenti che aveva già vissuto, a differenza del giovane e inesperto avversario. Però, e c’è un però, non mi sento di condannare un ozeki posto in quella situazione per aver scelto la via dell’henka. Probabilmente è stato un colpo per la sua immagine e questo è comprensibile, ma non è la prima volta che si fa notare per scelte un po’ al limite, come ad esempio un paio di scontri contro Kotonowaka che punì con una gragnola di sberle che avrebbero steso un bufalo.
Ci sta che l’hinkaku di Takakeisho abbia ancora dei lati in ombra che possono essere migliorati o possono semplicemente far parte del suo modo di essere, del suo sumo che magari non è solo spingere come un rullo ma anche saper essere opportunista e voler cogliere tutte le occasioni. Atamifuji, in qualsiasi caso, ha imparato una grossa lezione: l’henka esiste e chiunque, in qualsiasi momento può usarla contro di te… o tu puoi usarla contro di lui.
Vi lascio con un’ ultima risposta ad un’ultima domanda:
– Avresti preferito che Takakeisho avesse affrontato Atamifuji a viso aperto?
– Sì.
Ma non decide il pubblico come si svolgono gli incontri, anche questo fa parte della bellezza del grande sumo.
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