Prendendo spunto da un articolo dell’Internazionale, vediamo nel dettaglio le quattro ondate di rikishi mongoli verso il Giappone, con la prima datata 1992
Negli ultimi anni il sumo ha iniziato ad attrarre sempre più nuovi fan al di fuori del Giappone, e questo sta spingendo nuove testate giornalistiche ad informarsi sul tema in modo da approfondire alcuni aspetti per i suoi lettori. È questo il caso dell’articolo pubblicato sul numero 1445 del settimanale Internazionale a firma di Antonio Graceffo, scrittore americano esperto di arti marziali. Il tema del pezzo è l’influenza che ha avuto e sta avendo la Mongolia nell’evolversi di questa disciplina. Nel riportare alcuni passaggi dell’articolo articolo, abbiamo ampliato il tema vedendo più nel dettaglio quante e quali sono state le orde di lottatori mongoli che hanno arricchito il sumo moderno.
Senza sbocchi sul mare, la Mongolia è un paese di appena 3,3 milioni di abitanti, ma durante il festival di Naadam – una celebrazione annuale dei tre tradizionali sport mongoli: la lotta bokh, il tiro con l’arco e la corsa dei cavalli – si esibiscono fino a ventimila lottatori al giorno. Gannyam Ganbold, 33 anni, proprietario della palestra Goldish nella capitale mongola Ulan Bator, è un ex lottatore di alto livello di sumo e di bokh. Ha vissuto in Giappone dal 2003 al 2006, allenandosi e partecipando a gare di sumo mentre frequentava il liceo a Fukushima. “I campioni di bokh mongolo di solito sono figli di campioni”, dice Ganbold. “Tre dei cinque yokozuna mongoli erano figli di campioni di bokh. In Giappone ci sono bambini che crescono allenandosi continuamente al sumo, ma è la forza che fa la differenza”.
I lottatori mongoli hanno un vantaggio fisiologico, proprio come i corridori degli altipiani keniani, che grazie all’acclimatamento riescono ad assorbire ossigeno con maggiore efficienza ad elevate altitudini. Se ci si aggiunge uno stile di vita spartano – seguire le mandrie al pascolo, trasportare acqua, rompere il ghiaccio e spaccare la legna – e una dieta quasi esclusivamente a base di carne e latte, avete tutti i prerequisiti necessari, dice Ganbold, per trasformare i ragazzi in lottatori possenti, con cosce incredibili e un’enorme capacità polmonare. (articolo Internazionale)
In totale sono 67 nella storia i rikishi mongoli ad aver esordito nello sport nazionale del Giappone, ma l’approccio dei primi pionieri ovviamente non è stato facile. Come si vede dal grafico sottostante infatti, sono passati sette anni prima che qualcun altro seguisse l’esempio dei “fantastici 6” datato 1992.
La prima ondata di avanscoperta risale appunto al 1992 quando 6 giovani ragazzi riuscirono ad esordire come lottatori professionisti e vedere il loro nome scritto nel banzuke: tre di essi ebbero vita breve e a causa dello shock culturale non durarono che una manciata di tornei, mentre ebbero fortune ben diverse 旭天山 Kyokutenzan, e soprattutto 旭天鵬 Kyokutenhō e 旭鷲山 Kyokushūzan. Quest’ultimo è stato il primo lottatore della Mongolia a raggiungere la massima divisione Makuuchi nel settembre del 1996 – fermandosi poi al rango di Komusubi – e con la cifra record di 5 kinboshi è il lottatore del suo paese ad averne ottenute di più. Il connazionale Kyokutenhō invece fece ancora meglio in termini di ranking raggiungendo la posizione di Sekiwake e vincendo persino un titolo nella massima divisione nel maggio 2012. Come si evince dal nome, tutti facevano parte della stessa heya cioè la palestra Ōshima (大島部屋) e il gran merito della loro scoperta va attribuito all’ex Ozeki 旭國 Asahikuni Masuo che per primo decise di reclutare lottatori provenienti dagli altipiani mongoli. Con il suo pensionamento avvenuto nel 2012 per il sopraggiungere dei 65 anni di età, la palestra Ōshima si è dissolta.
L’allenatore Dandar Jamsran ha mandato in Giappone molti dei suoi giovani lottatori di bokh, di solito tra i 15 e i 16 anni. Jamsran dice che in Mongolia non esiste una vera e propria preparazione al sumo, ma una volta selezionati i ragazzi li fa lanciare l’uno contro l’altro più volte, come nel sumo, per rafforzare gambe e schiena. Li incoraggia anche a mangiare il più possibile per mettere su peso. “Per noi mongoli”, dice Jamsran, “c’è la responsabilità aggiuntiva di rappresentare il nostro paese”. (articolo Internazionale)
L’esperienza fu ripetuta ma questa volta in maniera molto più consistente: la seconda ondata di lottatori provenienti dalla Mongolia infatti è stata la più numerosa e ad oggi quella di maggior successo. Cronologicamente questa vera e propria invasione al sumo può essere collocata dal 1999 al 2004 quando in totale sbarcarono in Giappone 35 ragazzi con il picco raggiunto nel 2001 quando solamente in quell’anno esordirono nel banzuke 14 nuovi lottatori di questa nazione. Giusto per fare qualche nome, tra loro ci furono i tre Yokozuna 鶴竜 Kakuryū, 日馬富士 Harumafuji e 白鵬 Hakuhō, mentre 朝青龍 Asashōryū li precedette di due anni. Tutti questi ragazzi erano vogliosi di lottare e trovare successo in una disciplina a loro non completamente estranea perché, come si legge nel già citato articolo dell‘Internazionale, nelle loro vene e nella loro cultura è presente qualcosa di simile dallo sport nazionale giapponese.
I mongoli hanno introdotto nuove tecniche e competenze anche nel sumo. Nel 2000 l’associazione giapponese di sumo ha aggiunto dodici nuove tecniche vincenti basate sulla lotta mongola, portando il totale a 82. Sono le prime aggiunte alle regole di questo sport dal 1960. (articolo Internazionale)
Come terza ondata invece si può considerare quella avvenuta dal 2008 al 2011 dove il numero totale di nuovi esordienti provenienti dalla Mongolia fu di 8 lottatori. Tra essi spicca ovviamente l’attuale e unico Yokozuna 照ノ富士 Terunofuji che completa il quintetto di lottatori mongoli capaci di raggiungere il massimo grado in questa disciplina.
Il mongolo Narantsogt Davaanyamyn – conosciuto nel sumo con il nome di Sadanohikari Shinta (attuale Sandanme 17, quarta categoria) – ha 25 anni e cerca di salire di livello fin da quando è arrivato in Giappone esordendo nel 2014. Ha la sensazione che i tifosi giapponesi “accettino gli yokozuna mongoli perché sono capaci, di talento e rispettano le regole. Persone che lavorano sodo e diventano campioni. Non ci sono pregiudizi. Ci sono molti fan e una buona parte di pubblico che tifa per i lottatori di sumo stranieri”. E aggiunge: “Per i grandi appassionati credo che i mongoli non siano affatto un problema. Grazie ai mongoli il sumo può sopravvivere nella cultura popolare giapponese”. (articolo Internazionale)
Infine la quarta e più recente ondata è quella che va dal 2017 ai giorni nostri dove al momento si registrano 10 nuovi lottatori provenienti da questo paese asiatico. L’ultimo in ordine di tempo a fare il suo esordio sul dohyō è il 24enne 欧勝馬 Ōshōma appartenente alla palestra Naruto (鳴戸部屋): nel suo primo torneo a novembre 2021 ha chiuso con un dignitosissimo 4-3 nella divisione Makushita, mentre ha fatto ancora meglio nel suo secondo torneo. Il 5-2 di gennaio lo catapulterà ai vertici della terza divisione per il prossimo basho, e chissà che un’ulteriore buona prestazione a marzo non possa farlo arrivare già in Jūryō. Nell’ultimo torneo Ōshōma si è tolto anche la soddisfazione di battere il connazionale 北青鵬 Hokuseihō (20 anni, 200cm, esordio 2020) protégé di Hakuhō. Il nome celebre di questa quarta ondata però è un altro e, con l’esordio datato 2018, ambisce a ben altre posizioni: si tratta del 22enne 豊昇龍 Hoshōryū (nipote di Asashōryū). Considerando la sua incredibile tenacia evidentemente genetica, non è da escludere che non possa ripercorrere almeno in parte le orme di suo zio.
